19 Ago
La Food and Drug Administration Usa ha approvato il flibanserin, noto anche come “viagra rosa”. La prima pillola che promette di aumentare il desiderio sessuale nelle donne, il medicinale Addyi di Sprout Pharmaceuticals, sarà commercializzata, esclusivamente sotto prescrizione medica, negli Stati Uniti a partire dal prossimo 17 ottobre.
Questa decisione è stata celebrata dal New York Times come una vittoria della campagna di lobbying che, in questi mesi, aveva accusato la Fda di ignorare i bisogni sessuali delle donne.
Da una parte infatti c’è chi rivendica il diritto delle donne a combattere il calo del desiderio tanto quanto gli uomini, sebbene con modalità terapeutiche parecchio differenti; dall’altra chi pensa che il problema della scarsa voglia di far sesso sia per lo più strumentalizzato e teme gli effetti collaterali di una cura per una condizione che non mette a rischio la salute di chi ne soffre.
In mezzo il flibanserin, la molecola “della discordia”: chiamato “viagra rosa”, ha avuto un percorso a dir poco travagliato nelle sperimentazioni cliniche e soprattutto nelle discussioni delle agenzie regolatorie per decidere in merito al suo arrivo sul mercato.
La molecola di Flibanserin è stata scoperta negli anni ‘90, quando anche in Italia alcuni ricercatori hanno iniziato a sperimentarlo sui topolini come antidepressivo: la molecola infatti agisce sui recettori della serotonina, il neurotrasmettitore “della felicità” la cui carenza è coinvolta nei disturbi dell’umore, e su altri due trasmettitori cerebrali fondamentali, dopamina e noradrenalina. Gli studi parevano promettenti, indicavano infatti che agisse più in fretta degli antidepressivi “classici” ai quali servono in media un paio di settimane prima di vederne gli effetti sui sintomi. Ma la vera sorpresa arrivò quando iniziarono i trial clinici: le donne coinvolte riferivano spesso un “effetto collaterale” imprevisto, ovvero un consistente incremento del desiderio sessuale. Da qui, negli anni 2000, l’avvio di studi centrati su donne in pre e post-menopausa con il cosiddetto disturbo del desiderio sessuale ipoattivo, il termine “medichese” per identificare la perdita della voglia di rapporti sessuali che spesso si accompagna al calo degli estrogeni in menopausa. I dati raccolti hanno mostrato una certa efficacia del farmaco, in un periodo in cui già si registrava il fallimento di un altro candidato a diventare il viagra rosa, ovvero il testosterone in cerotti o gel bocciato dagli enti regolatori per le donne in post-menopausa a metà degli anni 2000. Invece, alcuni trial con flibanserin segnalavano un effetto significativo nei confronti del placebo. In altri le reazioni delle donne parevano più blande, ma la corsa al nuovo viagra per le donne era ormai iniziata, e con questa le richieste di registrazione del farmaco per trattare il disturbo del desiderio sessuale ipoattivo.
Il percorso accidentato verso l’approvazione
La FDA aveva già bocciato due volte flibanserin: la prima nel 2010, quando gli esperti hanno ritenuto troppo scarse le prove di efficacia a fronte di effetti collaterali come stanchezza, ipotensione, svenimenti, nausea. Al tempo, tuttavia, l’ente sottolineò l’importanza di continuare a fare ricerca per rispondere a un bisogno medico femminile reale: non si negò insomma l’esistenza di un disturbo da calo della libido, almeno per alcune. Da allora, il dibattito si è a dir poco infuocato e non ha accennato a diminuire neppure nel giugno scorso, quando il farmaco ha incassato un primo parere positivo, benché non vincolante, da una commissione FDA. Su un lato della barricata stanno alcune associazioni per i diritti delle donne come “Even the Score”, ovvero “Pareggiamo i conti”, fra le più agguerrite nel farsi sentire da quando la FDA ha rimesso mano al dossier flibanserin: secondo loro approvare il farmaco significa avvicinarsi a una parità di genere sotto le lenzuola finora negata, visto che per l’impotenza ci sono 26 farmaci approvati e invece non ne esiste nemmeno uno per il calo del desiderio femminile. Un argomento poco solido secondo altri, che sottolineano come i “viagra blu” agiscano aumentando l’afflusso di sangue al pene, quindi su meccanismi squisitamente “meccanici” che possono incepparsi per motivi variegati, organici e non: non interferiscono però con la libido, qualcosa di ben più complesso soprattutto al femminile, e infatti non sono registrati per l’uso in uomini con calo del desiderio, ma per pazienti affetti da una condizione clinica precisa, l’impotenza.
I contrari all’approvazione del farmaco fanno notare come il desiderio nelle donne sia questione assai delicata e una sua riduzione, che può essere dovuta a mille motivi, non andrebbe medicalizzata sfornando la pillolina che fa tornare la voglia a comando, a maggior ragione se quella pillolina comporta effetti collaterali. Blandi quanto si vuole, certo, ma superflui se si cerca di combattere un problema che non mette a repentaglio la salute e si prospetta l’assunzione cronica di un medicinale che comunque non è mai acqua fresca. Il timore è che si stia cercando di alimentare un mercato potenzialmente enorme, stimato in miliardi di dollari se è vero che circa una donna su dieci soffre di calo del desiderio: l’American Psychiatric Association ad esempio non lo include più nella lista delle patologie, ma innumerevoli esperti sottolineano come il problema non solo esista, ma comporti anche un peggioramento drastico della qualità di vita che giustifica appieno la “corsa” alla terapia. Il dibattito continua.