05 Dic
Il tema della salute mentale è sparito, al momento, dall’orizzonte della politica. In questo inizio di legislatura, infatti, non si registra alcuna attività in tal senso, nonostante le buone intenzioni manifestate in campagna elettorale: tra i documenti consultabili in Parlamento non risultano proposte di legge che abbiano almeno l’intento di puntare l’attenzione sulla psichiatria nel suo complesso. Certo, nessuno immaginava che ci potessero essere chissà quali iniziative in poche settimane, dato che deputati e senatori si sono insediati a metà ottobre. E in cima all’agenda, come è noto, ci sono le misure economiche da affrontare per scongiurare l’eventuale recessione. Non è un mistero, insomma, che la nuova legislatura sia iniziata con l’urgenza di scrivere, discutere e approvare la Legge di Bilancio. Ma, paradossalmente, è proprio in questo punto che si innesca il cortocircuito: nella manovra del governo manca una visione, e anche un sostegno economico concreto sul dossier. L’analisi delle occorrenze lessicali aiuta a compiere una lettura precisa: nella manovra, la locuzione “salute mentale” non è mai praticamente contemplata, così come le parole “psicologia” e “psichiatria”. Una ricerca vana che conferma una tendenza: sono finite totalmente ai margini del dibattito pubblico o quantomeno dell’attualità politica. Dunque, interventi come il cosiddetto bonus psicologo sono rimasti lettera morta, la tipica “una tantum” per lanciare un segnale, prezioso, ma senza dare un seguito strutturale così come auspicato anche dall’allora deputato del Pd, Filippo Sensi, ideatore dell’iniziativa. È stato tra quelli che più ha voluto il finanziamento della misura e ha spinto affinché fosse emanato il decreto attuativo, fondamentale per disegnare il perimetro di azione. E dire che i fari mediatici intorno a quel provvedimento erano stati utili a raccontare un fenomeno su cui la politica continua a essere distratta…