15 Dic
Nel 2014, insieme a Maria Rita Parsi, pubblicammo per Piemme il libro Maladolescenza, replicato quattro anni dopo da Generazione H, che raccontava il mondo frastagliato e complesso degli adolescenti italiani, divisi tra spericolatezze, sindrome di Hikikomori e disagi di ogni genere.
A distanza di anni lo spaccato adolescenziale è un tumulto irrefrenabile, una vera e propria emergenza nazionale sulla quale è auspicabile che il Governo investa in risorse strategiche.
Prevalgono le baby gang, fenomeno longitudinale che interessa grandi e piccole città, vissute come una sorta di perversa moda che occupa quartieri e territori, candidandosi ad occupare pezzi di sovranità pubblica per molto tempo esclusivo appannaggio, almeno nelle realtà meridionali, della criminalità organizzata.
Nella mia stessa, piccola realtà urbana, quella di Cosenza Rende che ospita centomila abitanti, esistono queste bande giovanili, quasi sempre comprese in un range di età fra i 13 e i 17 anni,che vandalizzano, fanno piccole azioni illegali e sì atteggiano a veri e propri clan.
Nel capolavoro di Sergio Leone, C’era una volta in America, si assiste all’evoluzione della banda di Noodles e dei suoi sodali, che attraversa l’infanzia giungendo alla maturazione adulta di mafia conclamata.
Quanto questo pericolo possa farsi strada nelle nostre città, anche in quelle del nord in cui il crimine ha assunto una sorta di omogeneità culturale, è presto detto.
Ma non è solo il pur importante e possibile travaso verso la criminalità delle baby gang che deve far preoccupare ma la stessa dimensione sociologica dell’avanzata sistemica di gruppi organizzati che sì identificano con nomi, simboli e identità confuse.
Già Piaget, Winnicott, Anna Freud avevano sottolineato il rischio insito nell’età dì transizione dì coinvolgimento in attività geneticamente devianti,che nei decenni hanno assunto forme assai diverse.