20 Ott
In Italia la malattia di Alzheimer ha un costo di circa 15,6 miliardi di cui ben l’80% sostenuto dalle famiglie. Una cifra stratosferica che ben rende conto delle difficoltà che ogni nucleo familiare deve affrontare. Ma di quante persone parliamo? In Italia si stimano oggi circa 1.200.000 casi di demenza, di cui circa 700.000 di malattia di Alzheimer.
Ma grazie alla ricerca, nel prossimo futuro potrebbe essere possibile cambiare il corso della malattia, intervenendo nelle sue primissime fasi. Questa prospettiva richiederà però «una diversa organizzazione da parte del Servizio sanitario nazionale» per facilitare la diagnosi. È questa una delle prime richieste avanzate in occasione della Giornata Mondiale per la prevenzione dalla malattia di Alzheimer (che si è tenuta il 21 settembre), e formulate dall’Associazione italiana malattia di Alzheimer (Aima) e Società Italiana di Neurologia (Sin). «Dobbiamo pensare ai malati di oggi e a quelli di domani, che avranno esigenze diverse. I malati di oggi hanno bisogno di servizi più adeguati che colmino anche la incredibile disparità di trattamento tra i diversi sistemi regionali», ha dichiarato Patrizia Spadin, Presidente di Aima. «Ci sono poi i malati di domani, per loro si intravede finalmente una luce in fondo al tunnel grazie alle diagnosi precoce. Il sistema sanitario deve però attrezzarsi ad accogliere un numero sempre di più grande di pazienti per capire quali potranno essere quelli eleggibili per le nuove terapie. Sarebbe assurdo farci trovare impreparati da un futuro che aspettiamo da tanto tempo e che oggi sentiamo così vicino».
Più vicino di quello che si pensi, dato che «per la prima volta si affacciano all’orizzonte dei possibili farmaci che potrebbero cambiare lo scenario. Il problema che dobbiamo affrontare oggi riguarda innanzitutto l’identificazione di chi può eventualmente essere affidato alle nuove terapie. Queste terapie hanno infatti dimostrato di essere più efficaci nel decadimento cognitivo lieve in persone che hanno presenza di amiloide nel cervello. Se è vero che la malattia è molto diffusa, non sappiamo esattamente quante persone presentano un decadimento degenerativo lieve, è quindi necessario un importante lavoro di diagnosi differenziale». Ed è su questo d’altronde che si sta lavorando negli ultimi anni…
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