22 Ago
L’ultimo aggiornamento relativo al caso di Martina Lovato, la bocconiana condannata a 14 anni per un’aggressione con l’acido, pare essere definitivo: la giovane potrà avere dei contatti protetti con il figlio, esattamente come il padre e i nonni, ma non potrà tenere con sé il piccolo partorito a Ferragosto. Il caso dell’aggressione a Pietro Barbini e gli altri blitz con l’acido dimostrano, scrive il collegio presieduto da Antonella Brambilla, da parte di Martina «un’assenza di pensiero e di sentimento rispetto alla vita che si stava formando ed una completa preponderanza di aspetti inerenti alla dimensione aggressiva e rivendicativa». Nel provvedimento i giudici ricordano come la studentessa nell’ambito della perizia psichiatrica nel processo abbia sostenuto di «aver agito nei confronti» di Barbini «per purificarsi dai rapporti sessuali intrattenuti con soggetti diversi dal suo partner e poter così diventare una madre e una compagna degna».
Il Commento della Fondazione BRF
“Martina Levato potrebbe essere una buona madre e ciò prescinde dai debiti con la giustizia che è chiamata a pagare: contro di lei si sta scatenando un pregiudizio lombrosiano“.
Lo affermano in una nota la psichiatra Donatella Marazziti, docente a Pisa e direttore scientifico della Fondazione BRF, e il giornalista Mario Campanella, componente del comitato scientifico. “Il disturbo di personalità serio – continuano i due membri della Fondazione BRF – di cui è vittima, non è irreversibile e chi crede che ella debba essere staccata di colpo e per sempre dal figlio ha una concezione arcaica della psichiatria. Proprio la sua dimensione materna potrebbe far emergere sentimenti di empatia che sono necessari per la sua riabilitazione. Martina deve scontare la sua pena, ed è possibile prevedere un affido che dovrebbe riguardare principalmente i nonni. La sensazione che emerge dal dibattito attuale è che le famiglie di origine di Martina ed Alex paghino un assurdo pregiudizio, quasi che la strutturazione del legame criminale e perverso che ha unito la coppia sia colpa proprio della famiglia: un grave errore di valutazione“.