29 May
Conoscere da dove arriviamo, per capire dove andremo. Conoscere la storia della psichiatria per comprendere dove siamo arrivati oggi nella cura della malattia mentale. Da questa premessa il giornalista scientifico Robert Whitaker parte in “Mad in America” (L’Asino d’Oro, pp. 488) per ripercorre la storia della psichiatria americana ed europea a partire dal 1750, quando il malato mentale veniva trattato come un essere inferiore, tanto da meritarsi come cura i salassi, le purghe, la sedia rotante e la somministrazione di sostanze che inducevano la nausea. L’800 ebbe con il francese Pinel una temporanea umanizzazione dei trattamenti, con l’introduzione della cosiddetta terapia morale (antesignana del modello biopsicosociale, che vedeva la malattia mentale anche come conseguenza di eventi di vita stressanti), che venne ripresa in America da alcune comunità di Quaccheri.
Il ‘900 (definito dall’autore l’età più buia) fu caratterizzato da una regressione della visione della malattia mentale, anche grazie alla diffusione dell’eugenetica, che identificava nel malato di mente un portatore di patrimonio genetico alterato che andava pertanto eliminato per migliorare la razza umana.
Negli anni ’20 negli Stati Uniti si arrivò alla sterilizzazione obbligatoria dei malati mentali, alla stregua della Germania Nazista. In quell’epoca manicomiale il disagio psichico era visto come qualcosa da eradicare violentemente producendo lesioni al cervello. I trattamenti terribili in voga in quel periodo comprendevano il coma insulinico, l’uso massiccio di barbiturici, la terapia convulsiva con metrazol e poi con scosse elettriche, la lobotomia (in precedenza altre mostruosità chirurgiche come l’estrazione di tutti i denti o l’isterectomia come possibile cura della follia).
La modalità di sperimentazione scientifica per salute mentale di quel periodo e, secondo l’autore anche in parte del periodo successivo, contravveniva al celeberrimo Codice di Norimberga (prodotto dopo la seconda Guerra Mondiale in opposizione agli orrori sanitari del Terzo reich), che sanciva il principio secondo il quale gli interessi scientifici non avrebbero mai dovuto avere la precedenza sui diritti dell’essere umano.
Oltre ai danni cerebrali permanenti causati dalla lobotomia, nel libro viene raccontato il periodo delle ricerche americane sull’esacerbazione di psicosi indotta da allucinogeni come l’LSD, che veniva somministrato in dosi massicce senza un valido consenso dei pazienti. La scoperta degli psicofarmaci a partire dagli anni ’50 per certi versi rivoluzionò radicalmente la cura e la qualità di vita delle persone affette da disturbi mentali, anche se l’autore non ne riconosce il valore e anzi sostiene che gli psichiatri americani ne abbiano sempre fatto un uso sconsiderato, in nome di un riduzionismo biologico che in Europa ha sicuramente preso meno piede.