21 Feb
Nelle ultime settimane il suicidio giovanile sta tornando al centro del dibattito. La lettera di Michele, il dramma del giovane di Lavagna e del 22enne di Rovigo che ha scelto di morire il giorno prima della (finta) laurea, sono solo alcune delle tragiche storie che la cronaca ci restituisce, e che raccontano un fenomeno poco considerato. Nonostante se ne parli molto poco, nel nostro Paese il suicidio è infatti la seconda causa di morte tra i ragazzi sotto i 20 anni. In Italia sono 4000 i decessi legati a questo gesto estremo, il 12% dei quali tra giovani e giovanissimi, ossia quasi 500 ogni anno.
“Sono dati drammatici, ma tante giovani vite – spiega il Prof. Armando Piccinni, Presidente della Fondazione BRF Onlus – si potrebbero sicuramente salvare se ognuno di noi, nel suo rispettivo ruolo, svolgesse con passione e diligenza il proprio compito. Il ragazzo che ha deciso di uccidersi fugge da questa realtà. Così facendo ha perso la vita e la partita. Ma ancora di più abbiamo perso noi adulti. Noi genitori, noi medici, noi specialisti. Noi come Paese, che ci troviamo brutalmente privati della più grande ricchezza di cui possiamo disporre: la forza, l’energia e la continuità della vita che proviene dalle nuove generazioni”. Le storie che si impongono sulle pagine dei giornali, fanno riflettere rispetto alla situazione psicologica che i giovani attraversano e che spesso viene poco considerata, se non del tutto ignorata.
“La depressione negli adolescenti – continua il Prof. Armando Piccinni – è una realtà che per la gravità che riveste e per la frequenza con cui si manifesta è sottovalutata da famiglie, educatori addetti ai lavori. Il dato secondo cui il suicidio è la seconda causa di morte fra bambini e ragazzi ci dà l’ordine di grandezza del fenomeno. Delusioni scolastiche, sentimentali, familiari fanno parte della storia di tutti gli adolescenti da tempo indefinito. Le cause di questo incremento dei suicidi vanno ricercate altrove. Molti fanno riferimento, come possibile causa, ai cambiamenti repentini della nostra società, alla velocità con cui viviamo, viaggiamo, comunichiamo. Altri ritengono che la condizione di stress nasca dalla crisi della famiglia, dalla disgregazione dei nuclei familiari, dalla incapacità dei genitori di svolgere il loro ruolo. L’elenco potrebbe essere interminabile tra perdita dei valori, difficoltà di aggregazione e isolamento sociale. Di sicuro la nostra è una società dai cambiamenti rapidissimi, nella quale chi ha forti capacità di adattamento sopravvive, riesce a lottare e a soddisfare le richieste che gli vengono rivolte. I più deboli, o forse i più delicati e sensibili, si arrendono e scappano via. In passato la società, la scuola e la famiglia avevano un passo collaudato, le gerarchie stabilite nei secoli erano rodate ed efficienti, le richieste erano ben chiare e stabilite di generazione in generazione. Le vittime dei cambiamenti velocissimi di questa società sono probabilmente proprio quei giovani che non riescono ad adattarsi con sufficiente velocità. Paradossalmente proprio in questo momento di crisi della scuola, della famiglia, della società sarebbe necessaria la massima attenzione da parte degli educatori, dei genitori, delle strutture sociali per aiutare quei giovani che sia perché hanno una struttura personale più vulnerabile, sia perché vivono condizioni ambientali particolarmente difficili hanno più bisogno di essere compresi e sostenuti. Il sostegno e la vicinanza ai giovani manca, o in tante situazioni è insufficiente nei differenti piani di intervento. Per non trovarci di fronte a drammi come quello di Michele, o come il giovane di Lavagna che ha scelto di morire durante una perquisizione della finanza, dobbiamo imparare ad ascoltare i ragazzi, cercare di percepire i campanelli d’allarme che lanciano e non sottovalutarne il disagio”.