21 Mar
Lo facciamo centinaia di volte al giorno: ci alziamo, prendiamo un abito dall’armadio, beviamo un caffè. In tutti questi casi, concepiamo noi stessi come agenti liberi, che controllano consapevolmente il proprio corpo per raggiungere uno scopo. Ma è proprio così?
In un classico articolo pubblicato quasi vent’anni fa, gli psicologi Dan Wegner e Thalia Wheatley hanno avanzato un’ipotesi rivoluzionaria: l’esperienza di compiere intenzionalmente un’azione spesso non è altro che l’inferenza causale post hoc del fatto che i nostri pensieri abbiano causato alcuni comportamenti. La sensazione in sé, tuttavia, non ha alcun ruolo causale nella produzione di quel comportamento.
Questo a volte può indurci a pensare di aver fatto una scelta quando in realtà non l’abbiamo fatta, o di aver fatto una scelta diversa da quella che abbiamo fatto in realtà, ma sorge un inghippo. Supponiamo, come propongono Wegner e Wheatley, di osservare (inconsciamente) noi stessi che effettuiamo qualche azione, come prendere una cioccolatino, e di arrivare solo dopo a dedurre che lo abbiamo fatto intenzionalmente. Se questa è la vera sequenza degli eventi, come potremmo essere ingannevolmente indotti a credere di aver voluto fare quella scelta prima di avere osservato le conseguenze di quell’azione?
Questa spiegazione del modo in cui pensiamo il nostro agire sembrerebbe richiedere una sorta di soprannaturale causalità a ritroso, in cui la nostra esperienza di volontà cosciente sarebbe sia un prodotto sia una causa apparente del comportamento.
Alternativamente, altri scienziati ritengono che nel preciso momento in cui sperimentiamo una scelta, la nostra mente sta riscrivendo la storia, inducendoci a pensare che questa scelta – che è stata effettivamente completata dopo che le sue conseguenze sono state percepite inconsciamente – sia stata quella che avevamo fatto fin dall’inizio.
Le domande che ci dobbiamo porre sono dunque la seguente: siamo o non siamo liberi quando operiamo delle scelte, dalle più semplici, come quelle descritte sopra, alle più complesse che possono condizionare enormemente la nostra vita, come la scelta di un partner, di un partito politico, di una transazione finanziaria? Esiste il libero arbitrio?
Il libero arbitrio è quel concetto filosofico e teologico secondo il quale ogni persona ha il potere di scegliere da sé gli scopi del proprio agire e pensare, tipicamente perseguiti tramite la volontà. Nel senso che la sua possibilità di scelta ha origine nella persona stessa e non in forze esterne. Il libero arbitrio come tale si contrappone alle varie concezioni secondo cui le scelte umane sarebbero in qualche modo predeterminate da fattori sovrannaturali (destino), o naturali (determinismo), per via dei quali il volere degli individui sarebbe prestabilito.
Il concetto di libero arbitrio ha implicazioni importanti in campo religioso, per cui la divinità, per quanto onnipotente e onnisciente, scelga di non utilizzare il proprio potere per condizionare le scelte degli individui; nell’etica, dove è alla base della responsabilità senza cui un individuo non potrebbe rispondere per le sue azioni; in ambito scientifico, dove comporta un’indipendenza del pensiero, e quindi della mente, dalla pura causalità delle leggi scientifiche; nel diritto, dove, insieme alla responsabilità individuale, sta alla base del codice di procedura civile e penale; e anche in medicina, per le ricadute in ambito psichiatrico e sull’autodeterminazione dei pazienti nelle scelta delle cure e nel porre fine alla propria esistenza. Esiste poi una letteratura crescente su quelle che sono le basi neurobiologiche dei processi volitivi ed emozionali delle scelte nell’uomo.
Questi saranno i temi del prossimo convegno ECM organizzato da BRF per il 19 maggio pv presso la Provincia di Lucca, Sala Accademia, nel corso del quali esperti di più diversi settori dibatteranno questi temi con un’attenzione particolare alle problematiche che riguardano il libero arbitrio, la responsabilità individuale e le scelte terapeutiche in psichiatria.
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