08 Feb
Dormire non è cosa per tutti. 9 milioni di italiani – come abbiamo raccontato qualche giorno fa – soffrono di insonnia, con conseguenze drammatiche per la quotidianità, la propria salute e le persone vicine.
Per approfondire l’argomento abbiamo intervistato il il Prof. Angelo Gemignani – Dip. Patologia Chirurgica Medica Molecolare e dell’Area Critica, UniPi, Presidente Corsi di Laurea triennale e magistrale in Psicologia Clinica e della Salute, UniPi e Direttore Master in Neuroscienze, Mindfulness e Pratiche Contemplative, UniPi – che prenderà parte con la relazione “L’oscillazione lenta del sonno: tra la fisiologia e la clinica” al nostro Seminario Il Sonno: fisiologia, significato evoluzionistico, disturbi e patologie che si terrà a Lucca, in Toscana, sabato 11 febbraio.
Prof. Gemignani, quali sono i disturbi più comuni nel sonno?
Il disturbo del sonno più comune è l’insonnia, che nel significato etimologico rimanda alla perdita totale del sonno mentre nell’accezione clinica e nel linguaggio comune indica “l’esperienza individuale di un sonno inadeguato o insufficiente”. Si tratta probabilmente del disturbo più frequente visto che da solo rappresenta circa il 90% di tutti i disturbi del sonno, ed è tra le condizioni morbose più comuni del mondo industrializzato. Almeno nella sua forma lieve e sporadica, infatti, interessa potenzialmente tutti, indipendentemente dal ceto, dalla classe economica, sociale o professionale. La sua diffusione rimane ubiquitaria anche se si restringe il campo al livello clinico, ove, la sua prevalenza stando agli studi epidemiologici disponibili, oscilla tra il 10 e il 48%.
Perché è così importante studiare l’insonnia?
L’importanza dell’insonnia nella medicina è progressivamente aumentata da quando si è dimostrato il suo significato di fattore di rischio per alcuni disturbi dell’Umore e d’Ansia e per alcune patologie internistiche, in particolare cardiovascolari e metaboliche. Indipendentemente dai criteri diagnostici e dai fattori geografici, economici o sociali che si osservano, l’insonnia è più frequente nel sesso femminile, con un rapporto rispetto ai maschi almeno doppio, prevale nell’età avanzata ed in presenza di bassi livelli culturali e precarietà occupazionali.
Quali sono le patologie di cui soffrono prevalentemente le donne?
I maggiori picchi di insonnia riscontrabili nel sesso femminile coincidono con il periodo del menarca, della menopausa e durante la gravidanza. Le donne soffrono di disturbi del sonno in misura maggiore rispetto agli uomini. Al contrario, le donne hanno una percentuale minore di apnee notturne. Inoltre, gli uomini russano più delle donne, anche se la percentuale aumenta dopo la menopausa e in gravidanza.
Quali sono i rischi in cui incorre chi soffre di insonnia?
Chi soffre di insonnia durante il giorno di solito lamenta sonnolenza più o meno intensa ed una serie di disturbi disfunzionali sia somatici che psichici. Tra i problemi medici correlati all’insonnia quelli meglio conosciuti sono il diabete tipo 2, varie patologie cardiache acute e croniche, l’ipertensione arteriosa, la dislipidemia, e più in generale l’invecchiamento prematuro. Si sospetta anche che in presenza di un’insonnia cronica aumenti la probabilità di morte per infarto miocardico o per patologia neoplasica.
Le conseguenze sono importanti anche dal punto di vista psichiatrico.
Il versante psichiatrico non è meno sensibile all’insonnia che, quando persiste per oltre un anno, ha effetti indubitabili di aumento della vulnerabilità alla psicopatologia affettiva. Basti pensare che in circa il 57% delle insonnie croniche, entro un biennio, si ha l’insorgenza di un Disturbo dell’Umore o d’Ansia la cui incidenza, in questo caso, è più che doppia rispetto a quella della popolazione generale.
Chi soffre di insonnia cosa può fare?
In tutti i casi d’insonnia il primo approccio deve essere mirato a correggere abitudini disadattative e comportamenti condizionati che ostacolano il sonno. In questo ambito rientrano gli interventi cosiddetti di igiene del sonno e le tecniche psicoterapiche come la terapia cognitivo-comportamentale. Questo tipo di interventi è elettivo nelle forme croniche, che spesso si associano proprio ad una inadeguata igiene del sonno ed ad un uso inappropriato di farmaci ipnotici e di sostanze alcoliche. I benefici, sebbene non immediati, sono paragonabili a quelli dei farmaci, rispetto ai quali si dimostrano più duraturi e sicuramente con minori effetti indesiderati.
Nell’insonnia transitoria o a breve termine invece il ricorso ad un farmaco attivo sul sonno è elettivo. I composti più largamente utilizzati appartengono alla famiglia delle benzodiazepine (BDZ) e dei composti non-benzodiazepinici (NBDZ) appartenenti alla classe delle imidazopiridine, dei ciclopirroloni e delle pirazolopirimidine. Un farmaco NBDZ o BDZ ad emivita breve è in via di principio preferibile per l’insonnia prevalentemente iniziale (difficoltà ad addormentarsi), mentre un farmaco ad emivita prolungata si presta ad essere maggiormente impiegato nell’insonnia terminale (risveglio precoce mattutino). Il problema del trattamento farmacologico è particolarmente complesso e per molti aspetti non ancora risolto nelle insonnie cosiddette croniche. Con qualsiasi farmaco adottato, BDZ o NBDZ, rapidamente si attivano i meccanismi della tolleranza che ne diminuiscono l’efficacia ed espongono al rischio di aumento delle dosi. È convinzione condivisa che la terapia farmacologia dell’insonnia non debba superare le poche settimane, oltre le quali è necessaria una rivalutazione della diagnosi ed un monitoraggio del farmaco, che eventualmente deve essere sostituito o associato ad un intervento psicoterapico. Una precauzione preziosa, specie nei casi di insonnia primaria ad andamento cronico, è la periodica discontinuazione del farmaco; la somministrazione cosiddetta intermittente, infatti, consente il sollievo, almeno temporaneo dall’insonnia, senza l’inevitabile perdita di efficacia ed i rischi di dipendenza, che attengono ai trattamenti protratti.