12 Feb
In che modo i social e gli smartphone influiscono sulla nostra vita e, dunque, sul nostro cervello? Non tutti, probabilmente, ne sono consapevoli ma – nel bene o nel male – quella che stiamo vivendo è «una rivoluzione epocale poiché le interazioni sociali stanno cambiando. Le nuove tecnologie, i social, il modo in cui ci approcciamo a questo mondo, sta strutturando un cervello diverso, non necessariamente peggiore. Semplicemente diverso». È lucida l’analisi di Giovanni Biggio, professore ordinario di Neuropsicofarmacologia presso l’Università degli Studi di Cagliari, membro dell’American College of Neuropsychopharmacology, e uno dei massimi esperti in Italia e in Europa di come le nuove tecnologie stiano influenzando il nostro cervello. E, dunque, l’essere umano.
Professore, il mondo sembra dividersi in due correnti: coloro che ritengono che i social e gli smartphone siano un bene senza pari e coloro che, invece, hanno una visione catastrofista. Chi ha ragione?
Il punto è innanzitutto capire come i social vengono utilizzati e per quanto tempo. Ora comunichiamo solo attraverso i social. Prima ci si trovava in piazza, al bar, alla parrocchia. Oggi tutte queste interazioni si stanno riducendo e si comunica tramite chat istantanee. Ciò sta diminuendo la nostra tradizionale capacità interattiva e ovviamente tale situazione influisce sul cervello.
In che senso?
Tenga conto di questo: i due fattori che storicamente e biologicamente hanno consentito lo sviluppo del cervello nelle varie evoluzioni sono stati l’interazione sociale e il cibo.
Cosa sta succedendo oggi?
Stiamo vivendo una rivoluzione epocale poiché le interazioni sociali stanno cambiando. Si sta strutturando un cervello diverso, non necessariamente peggiore. Semplicemente diverso. Quella attuale è una generazione di transizione.
Cosa potrebbe accadere ora?
Gli effetti di questo passaggio saranno visibili tra qualche decennio, quando il nostro cervello sarà diverso e dovrà confrontarsi con un mondo diverso, con interazioni diverse. E con interazioni intendiamo non solo quelle umane, ma anche quelle con istituzioni, banche, e così via. Interazioni, cioè, per le quali utilizzeremo sempre più i processi informatici e non relazionali nel senso proprio del termine. Avremo macchine che funzioneranno anche a distanza. Tutto questo comporta che oggi abbiamo un cervello che deve strutturarsi in maniera diversa.
Dunque non bisogna avvicinarsi a social e tecnologie con paura apocalittica?
Assolutamente no. Però non bisogna usare il sistema informatico e gli smartphone in modo anomalo: chi oggi lo fa, rischia di diventarne vittima.
Può farci qualche esempio?
Ci sono ragazzi che usano smartphone o tablet più o meno 24 ore su 24. Lo usano a scuola, lo usano per fare i compiti e se casomai gli togli lo smartphone non riescono più a studiare, perché ormai il loro stile di vita prevede che mentre studiano, ricevono il messaggio e rispondono. E se non hanno questa possibilità, diventano nervosi, si deconcentrano. In altre parole: entrano in crisi di astinenza. Una parte di coloro che lo usano eccessivamente, è geneticamente più vulnerabile e quindi è più debole e corre il pericolo di diventare vittima dei nuovi strumenti. C’è chi, ad esempio, lo usa fino a notte fonda, tanto che negli Stati Uniti ormai a scuola si entra alle 10,00 e non più alle 8,00 perché altrimenti gli alunni si addormentano.
Nel bene o nel male sta già cambiando il nostro stile di vita…
Esatto. E, con questo, anche il nostro cervello. Permane, però, il rischio patologico che io individuerei proprio in chi utilizza lo smartphone fino a notte fonda. La deprivazione di sonno sta facendo vittime. Ma anche se si pensa a comportamenti ordinari, è facile notare come la concentrazione dei nostri studenti sia in calo. E ciò è conseguenza della riduzione delle ore del sonno. Basta fare un esperimento. Se si chiede agli studenti chi utilizza lo smartphone dopo cena, la risposta è: tutti. Se si chiede chi lo utilizza dopo la mezzanotte, siamo intorno al 98%.
Perché è così importante dormire?
Quando noi non dormiamo, basta anche solo una notte, accumuliamo nel nostro cervello molecole tossiche come la betamiloide. Parliamo di molecole che per la demenza possono essere determinanti. Quando invece dormiamo, il cervello scarica queste scorie e vengono allontanate. E questa è una delle funzioni fondamentali del sonno, che ripulisce il cervello. Senza sonno si rischia di accumulare un decadimento cognitivo sin dall’età adolescenziale.
A cosa può portare tale situazione?
Tra chi fa le ore piccole, c’è poi chi non regge, chi è più geneticamente più vulnerabile. Immagini che tra le prime cause al mondo nell’attivazione dell’aggressività e della violenza del cosiddetto “bullo”, c’è la deprivazione di sonno. Non solo. Ci sono altri studi americani che dicono che la riduzione del sonno porta alla riduzione anche del tono dell’umore, cioè il venir meno del benessere psicologico, cosa che potrebbe comportare atti di autolesionismo. In alcuni casi si è arrivati anche a episodi di suicidio. Non è un caso che è nato, prima in Giappone poi nel resto del mondo, il fenomeno dell’hikikomori.
Tutto questo dipende dalla reazione del nostro cervello al nuovo stile di vita “2.0”?
Assolutamente sì. Il cervello, soprattutto nella parte frontale, ha una peculiarità anatomica assoluta nell’adolescente: l’area limbica è l’area che contiene i nuclei amigdala, accumbens e ippocampo, che controllano le emozioni; nell’adolescente questi nuclei sono sviluppatissimi e poi si ridimensionano quando si arriva all’età adulta intorno ai 23-25 anni nel sesso femminile, intorno ai 27-29 anni nel sesso maschile. Si diventa adulti quando, rispetto all’area limbica che dà emozioni, la corteccia frontale si rafforza e dà gli impulsi inibitori che frenano emozioni e trasgressioni. Ecco: se non si dorme, la corteccia frontale è stanca e le trasgressioni, a maggior ragione negli adolescenti, non hanno freni. Pensi a chi è connesso notte e giorno: questo accade proprio perché i giovani sono attratti in modo straordinario dal computer per via dei nuclei dell’area limbica, ma in questo modo la corteccia si stanca facilmente e non è più in grado di controllare gli impulsi dell’amigdala; si sviluppa così la via dell’aggressività verso se stessi e verso gli altri. E allora c’è il fenomeno di chi salta da una finestra all’altra facendosi i selfie oppure di chi se li fa sui binari del treno.
Resta la domanda: è lecito dare lo smartphone a un bambino di 10 mesi?
È uno dei problemi capitali della società contemporanea. Oggi ci sono genitori che danno al bambino di 10 mesi l’iPad o lo smartphone. Il punto è stabilire delle regole: dare un telefono a 10 mesi è in ogni caso fuori luogo; se invece il bambino fa le elementari è giusto darglielo ma qualche ora, dopodiché basta. Il problema è che sono sempre più le coppie che casomai danno l’iPad al bambino in culla così sta buono: ma il rischio è che così “sta buono” fino alle 2-3 di notte e si incorre nel rischio di dipendenza. A quell’età, invece, il bambino deve dormire; con le nuove tecnologie, invece, si rischia di privarlo del sonno sin da neonato. A quel punto se gli togli il telefono, il bambino piange, strepita, grida, reazioni che invece non si hanno se gli togli un giocattolo.
Insomma, no al divieto assoluto ma attenzione massima.
Siamo una generazione di transizione. Tra alcuni decenni il cervello si stabilizzerà e saremo molto più solidi anche nell’utilizzo delle nuove tecnologie. Però oggi le persone più fragili e più vulnerabili soccombono. I genetisti già due anni fa ci hanno detto che l’evoluzione dei geni sta andando a una velocità pazzesca, nell’arco di una sola generazione. Ciò vuol dire cambiamenti importanti nel giro di pochi decenni mentre prima si verificavano dopo 100-200 anni. E tutto questo, ovviamente, coinvolge anche e soprattutto il nostro cervello.