26 Feb
Potrebbe sembrare assurdo e contro natura ma troppo amore prolunga il dolore. Quando la persona amata sta male, l’istinto è quello di proteggerla da un dolore maggiore con ogni mezzo, dalla somministrazione di farmaci al farsi carico di tutte le sue faccende per darle modo di riposarsi. La dura verità però è che facendo in questo modo si prolungherà solamente la durata del suo dolore. A rivelarlo è una ricerca australiana condotta dallo psicologo clinico Toby Newton-John dell’University of Technology di Sydney, in collaborazione con Relationship Australia. “I dati indicano chiaramente che se il partner da’ molto supporto pratico, se fisicamente fa molte cose per la persona che soffre, questa persona tende ad essere più disabile e più limitata”, ha commentato lo psicologo.
L’analisi
I ricercatori hanno raggruppato in due categorie, sollecite o punitive, le risposte del partner al comportamento della persona che soffre dolore. Le risposte sollecite sono superprotettive: somministrare medicine, incoraggiare il riposo e curare le sue faccende. Le risposte punitive esprimono fastidio o esasperazione verso le espressioni di dolore. La ricerca indica che i pazienti con partner solleciti sono meno attivi, meno funzionali, assumono più antidolorifici e hanno più probabilità di astenersi dal lavoro. Quelli che affrontano risposte punitive dal partner “funzionano” meglio fisicamente, ma d’altra parte denunciano livelli molto bassi di soddisfazione nella relazione. In alcuni casi la gestione del dolore può diventare una maniera di esercitare potere nella relazione.
“La persona che soffre dolore può riaffermare il proprio potere solo diventando più disabile e alzando così la posta”, scrive Newton-John sul sito di Relationship Australia. Questo non vuol dire che il dolore non sia reale, spiega lo studioso. Il corpo contiene nervi specializzati che individuano cambiamenti potenzialmente dannosi in temperatura, equilibrio chimico o pressioni su tessuti del corpo, e mandano segni di allerta al cervello. Questo valuta le informazioni, applicando dati sia cognitivi sia sensoriali, come aspettative, precedenti esposizioni al dolore e ciò che si vede o si ode. Quindi il cervello produce dolore, spiega Newton-John. Il consiglio è di mantenere comunicazioni oneste fra i partner. “La chiave è massimizzare il supporto emotivo, mantenendo il supporto pratico a un livello che non si ripercuota sull’autoefficacia del paziente”, spiega.