21 Jan
Sono 4mila le persone che ogni anno, solo in Italia, decidono di togliersi la vita. Specie tra gli adolescenti. In tutto il mondo, il suicidio è la seconda causa di morte tra i giovani al di sotto dei 24 anni. Per questo motivo e dato che il tema è vissuto ancora come un tabù nella società, i registi Alessandro Tosatto e Andrea Battistuzzi hanno deciso di raccontare in un documentario la realtà della sofferenza psichica in età evolutiva, cercando di scalfire «il muro di silenzio che circonda la vita di molti di loro e delle loro famiglie». Il docufilm si chiama Come stanno i ragazzi, e tenta di mostrare un punto di vista totalmente diverso, inquadrando i tentativi di suicidio nella società contemporanea, che non riesce a fornire certezze sufficienti ai giovani per garantirne la serenità.
D’accordo con questa lettura anche il professor Armando Piccinni, psichiatra e presidente della Fondazione BRF, che abbiamo intervistato a riguardo. «Questo film – spiega il professore – mette il dito su una problematica relativa a una condizione esistenziale molto particolare e delicata: quella adolescenziale, che non è assimilabile né all’infanzia né alla vita adulta, ma è cerniera fondamentale tra questi due periodi della vita umana. Chi ha una personale vulnerabilità, una sensibilità forte e maggiore rispetto a quella dei suoi coetanei è più esposto a risentire del passaggio all’adolescenza perché il cambiamento può esser vissuto come un trauma».
Quali sono le ragioni?
Esistono una serie di cause che potrebbero essere vissute come fonte di trauma: le maggiori richieste dei coetanei, le prime relazioni affettivo-sentimentali, le spinte ormonali, senza dimenticare le richieste scolastiche e quelle familiari. Tutte “spinte” fisiologiche che in soggetti più sensibili e delicati possono diventare momenti di sofferenza e che nello sforzo di trovare un adeguamento possono lasciare spazio a comportamenti devianti o all’esordio di un vero e proprio disturbo psichico. Quello dell’adolescenza, in ultima istanza, è un periodo in cui si vive la necessità di identificarsi in modelli di comportamento: nel momento in cui l’adolescente non trova un modello adeguato in cui può identificarsi per costruire la propria identità dirige la sua ricerca in ogni direzione ed ha il rischio di compiere scelte incongrue, dettate più dallo sconforto e dalla delusione che dalle proprie effettive necessità.
In che maniera incide tale mancanza?
La mancanza di un’organizzazione familiare con un padre e una madre, ma anche di sani modelli collaterali come gli zii, i nonni, gli insegnanti e gli educatori, crea un vuoto: nella famiglia-monade può capitare che le figure significative manchino. E tale vuoto viene occupato e sostituito da modelli molto spesso derivati dai social. L’indagine della Fondazione BRF ha dimostrato che un ragazzo su quattro ha problemi di dipendenza da internet e un altro 40% si sente irritabile se non riesce a collegarsi ai social.
LEGGI LO STUDIO DELLA FONDAZIONE BRF SULLE DIPENDENZE COMPORTAMENTALI
Ma se ben ci pensiamo, il successo dei social network è legato alla stessa esigenza di socializzare: queste piattaforme sono scorciatoie a relazioni che prima avvenivano per vicinanza geografica, appartenenza culturale, per gruppo e così via. I social, invece, sono un minestrone entro cui c’è di tutto, tutte le istanze immaginabili: chi è fragile viene attratto spesso da modelli pericolosi e devianti, lontani dalle naturali predisposizioni di ognuno. Questo non vuol dire che i social sono “il male”: da una parte, infatti, contribuiscono a un’ampia socializzazione, ma spesso anche a un’identificazione con modelli distorti quando, come detto, manca una sana scala di priorità valoriali sociali e modelli familiari di riferimento.
Che legame c’è con questo vuoto e l’incredibile numero di suicidi?
Tutto questo può portare, nei casi più estremi e drammatici, anche al suicidio che, inevitabilmente, è frutto dell’ambiente sociale, familiare e culturale in cui si vive. C’è, però, anche dell’altro. C’è da dire, infatti, che esiste una quota di patologia dell’adolescente legata a disturbi dell’umore, all’ansia non gestibile e alla depressione. Appartiene all’immaginario comune l’idea secondo cui i bambini siano sani per definizione. Ma non è così: diversi studi dell’Organizzazione Mondiale della Sanità hanno dimostrato che il suicidio è la seconda causa di morte tra gli adolescenti dopo gli incidenti stradali . Erano, dunque, persone che non avevano gli strumenti giusti e idonei per affrontare le sfide della vita.
Cosa si può fare per affrontare tale problematica?
Noi come psichiatri siamo poco attrezzati: occorrerebbero maggiori investimenti e strutture specializzate per il trattamento delle problematiche legate all’età adolescenziale. Esistono oggi pochi psichiatri specializzati nell’affrontare soggetti di quella fascia d’età e comunque non quanti sarebbe necessario che ce ne fossero. Servirebbero, dunque, specialisti psichiatri, psicologi, educatori preparati alle problematiche dell’adolescenza con centri di riferimento dedicati al trattamento dei nostri ragazzi più vulnerabili.