27 Dic
“Ho perso un po’ la vista, molto l’udito. Alle conferenze non vedo le proiezioni e non sento bene. Ma penso più adesso di quando avevo vent’anni. Il corpo faccia quello che vuole. Io non sono il corpo: io sono la mente”. Diceva così in una celebre intervista Rita Levi-Montalcini.
E sono queste le parole che ci sono tornante in mente quando abbiamo letto lo studio dell’Imperial College pubblicato su Nature Neuroscience che spiega come siano stati mappati i geni dell’intelligenza: due intricate reti genetiche, fatte di centinaia di geni ciascuna, che sono state regolate a monte da due grossi “interruttori generali”. Gli interruttori generali sono infatti due gruppi di geni la cui attività è potenzialmente regolabile per modificare l’intelligenza.
Lo studio condotto da Michael Johnson potrebbe avere degli importanti risvolti applicativi, soprattutto se rapportato ai ritardi mentali, e alle possibilità di curarli. “La genetica – ha spiegato Johnson – e il suo ruolo nell’intelligenza era noto, ma adesso abbiamo un’ulteriore verifica di quanto i geni siano fondamentali”.
Gli scienziati britannici hanno studiato l’attività genetica di campioni di tessuto nervoso di pazienti epilettici operati per curare la propria malattia. Hanno poi confrontato questi dati con informazioni genetiche per individui sani che erano stati sottoposti a test di misura del quoziente intellettivo e individui con disturbi neurologici e vari tipi di ritardo (ad esempio autismo). Incrociando tutti i dati genetici a disposizione i ricercatori sono arrivati a tracciare due reti genetiche dell’intelligenza – M1 e M3. Inoltre hanno visto che la regolazione della loro attività fa capo a due grossi interruttori generali, a loro volta dei geni che controllano il sistema a monte. L’idea è quindi che lavorando con M1 e M3, magari attraverso gli interruttori generali, si possa modificare l’intelligenza.